Giacimento Caolinico di Furtei
E. REPOSSI
IL GIACIMENTO CAOLINICO DI FURTEI IN SARDEGNA
PAVIA
PREMIATA TIPOGRAFIA SUCCESSORI FRATELLI FUSI
LARGO DI VIA ROMA
1923
Estratto dalla rivista di Scienze Naturali "NATURA" Vol. XIV
Una delle caratteristiche più spiccate della morfologia e della geologia sarde è data dalla striscia dei Campidani che, stendendosi quasi ininterrotta fra Sassari, Oristano e Cagliari, divide con un'accentuata depressione tutta l'isola in due parti. La parte orientale, più ampia e massiccia, e comprendente il nodo montuoso più elevato - il Gennargentu - va dalle Bocche di Bonifacio al Capo Carbonara ; la parte occidentale invece è scissa in due parti minori : la Nurra che forma il settore nord - ovest dell'isola e il Sulcis - Iglesiente, che ne forma il settore sud - ovest.
Questa divisione è particolarmente netta nella sua metà meridionale, dove la grande e regolare pianura fra Oristano e Cagliari, tutta formata da sedimenti quaternari e recentemente emersa dal mare, si può paragonare ad un ampio corridoio costeggiato da due serie pressoché ininterrotte di monti.
Che poi questo corridoio sia in certa guisa determinato da due linee di frattura con andamento quasi parallelo, limitanti una zona sprofondata, è reso assai probabile dal fatto che il Campidano è d'ambo i lati accompagnato da serie di vulcani, il cui allineamento è quanto mai chiaro ed evidente.
Il gruppo vulcanico di Furtei - Serrenti, di una particolarità del quale ci occuperemo brevemente qui, fa parte della serie orientale, a cui appartengono, verso sud, il gruppo di Monastir non lungi dalle colline mioceniche di Cagliari, e verso nord-ovest i vulcani di S. Gavino Monreale ed il grande Monte Arci, imminente al Campidano oristanese.
Osservazioni moderne su questa serie di vulcani, salvo qualche analisi petrografica di lave del M. Arci dovuta al Washington, mancano interamente : non pare quindi inutile un contributo, per quanto modesto e particolarissimo, alla conoscenza loro.
Tra i paesi di Serrenti, a sud. e di Furtei e Segariu a nord, su di un'area grossolanamente ellittica e allungata da nord - ovest a sud -est, col diametro maggiore di 7 - 8 km. e il diametro minore di 4 - 5 km.. distante una quarantina di km. da Cagliari, si stende la regione vulcanica di cui intendiamo parlare.
Essa comprende una moltitudine di coni e colletti, che vanno dall'altezza di poche decine di metri a qualche centinaio, culminando col monte Coronar Arrubias m. 374 e contando tra le maggiori elevazioni il M. S. Miali (m. 336), la Punta Sebera (m. 360), il M. Maiori (ni. 340), il M. Tellura (m. 313).
E quantunque le azioni esogene abbiano modificato in molta parte quello che dovette essere in origine l'aspetto della regione, il paesaggio vi si mostra ancora oltremodo caratteri stico. sia per la forma dei coni maggiori sia per i numerosi coni avventizi che su quelli si son generati. Tanto che nessuno, che osservi la regione anche da lontano, può rimaner in dubbio sulla sua natura e sulla sua origine.
Un esame pur molto superficiale del gruppo vulcanico di Furtei. che io percorsi specialmente dal lato occidentale, dimostra subito che la struttura non ne è molto semplice, e vi si rilevano almeno due forme petrografiche diverse : una di gran lunga più abbondante, che ricorda perfettamente in taluni casi, certe rocce dei vulcani di Siliqua (sulla strada Cagliari-Iglesias, studiate dal Bertolio e determinale come trachi-andesiti) ed una seconda di aspetto basaltico, con tipiche forme bollose, simile ai basalti cosi largamente diffusi in Sardegna. Si trovano inoltre forme brecciate e tufacee, ed io ne notai di assai belle sul versante meridionale del M. Craboni.
Uno studio geologico - petrografico completo di questo gruppo, studio che richiede certo una lunga lena, potrà esser fatto in seguito. Mi limiterò ora a parlare dell'ampia formazione caolinica che è in esso sviluppata.
Del caolino di Serrenti parla anche il La Marmora nel suo monumentale " Voyage en Sardaigne" e sulle sue traccie, appare citato da autori posteriori. Ma non mi sembra che da quanto se n'è detto sin qui nella letteratura scientifica risulti tutta la grandiosità del fenomeno di caolinizzazione prese ntato dal gruppo vulcanico in discorso.
Le grandi squarciature delle cave, che si vedono biancheggiare da lungi, dimostrano già da sole all'osservatore ch'egli si trova dinanzi ad una ben vasta formazione. Ve n'ha un gruppo sopra Serrenti, sul fianco occidentale del M. Porceddn, un altro presso la cresta del M. Coronas Arrubias ed un terzo nella valle che sta a sud del M. Craboni. Questi tre gruppi di cave hanno, rispetto a tutta la regione vulcanica, una disposizione abbastanza chiaramente periferica, e si può affermare che in realtà la zona in cui le rocce si mostrano più o meno profondamente caolinizzate forma una fascia pressochè ininterrotta disposta tutt'all'ingiro alla regione stessa - cosa questa che non mi sembra senza significato quando si voglia far qualche ipotesi circa l'origine della caolinizzazione.
Tale caolinizzazione, che ho particolarmente osservato nelle località di Monti Craboni, Monti Cresia, Amigu Furoni, Bruncu Antoni Altea e Costa sa Tiria, facenti parte del gruppo di M. S. Miali, in territorio di Furtei, si presenta variamente sviluppata, ma sempre distinta dalla consueta alterazione superficiale, uniformemente distribuita in tutta la regione.
La roccia fresca - o apparentemente fresca, perché, come ho notato dovunque in Sardegna, si ha spesso una profonda alterazione delle rocce senza che il loro aspetto esterno appaia altrettanto profondamente modificato - ha una tinta generale piuttosto scura, bruno - violacea o grigia, con struttura sempre marcatamente porfirica. Gli interclusi, talvolta di dimensioni notevoli, sono prevalentemente costituiti da feldspati, che sembrano essere, come a Siliqua, esclusivamente attribuibili ad un plagioclasio piuttosto acido, e da orneblenda basaltica ; meno abbondante la biotite e scarso il quarzo. La pasta fondamentale, di solito interamente cristallina ed in cui compare probabilmente una certa quantità di sanidino, è compatta e uniforme.
In vicinanza della più orientale delle cave visitate si osservano forme meno marcatamente porfiriche, per le dimensioni assai più modeste degli interclusi, di aspetto trachitoide, che contengono inclusi in così notevole quantità frammenti angolosi della forma più consueta da mostrare un aspetto francamente brecciato.
Nella stessa plaga si hanno anche strati chiaramente tufacei.
L'alterazione superficiale, che giunge certo ad una notevole profondità tanto che in nessun punto gli scoperchiamenti fatti a scopo esplorativo mostrano la roccia sicuramente sana, si manifesta con uno scolorimento abbastanza sensibile della roccia stessa, che di solito non appare accompagnato da un ingiallimento ben marcato, e, naturalmente, con una diminuzione forte di coesione.
Questa alterazione è, come si disse, diffusa dovunque e non mostra nulla di particolare.
Invece è nettamente localizzata e distinta l'alterazione caolinica.
Questa si rivela con un caratteristico imbianchimento della roccia, che, non visibile di solito alla superficie, si riconosce però appena questa venga intaccata anche semplicemente a colpi di martello.
La roccia comincia a presentarsi caolinizzata lungo i margini di numerose fratture che la percorrono in tutti i sensi, tanto che in taluni casi essa sembra coperta da un reticolato di bianche strisce limitanti aree angolose in cui la roccia stessa conserva il suo colore grigio o grigio-bruno ordinario. Nelle plaghe invece in cui la caolinizzazione è più progredita tutta la roccia ha un colore bianco latteo o bianco giallo gnolo o persino bianco verdognolo caratteristico ed uniformemente distribuito e presenta al tatto quella morbidezza ch'è consueta in simil genere di formazioni.
Anche nei casi in cui la caolinizzazione si può ritener più avanzata o affatto completa, si nota però sempre che lungo il percorso di originarie fratture si hanno strisce, talvolta anche di discreto spessore, di caolino pulverulento bianchissimo ed uniforme. Si direbbe quasi che questo caolino vi sia stato trascinato e depositato da acque a riempire litoclasi.
Questo fatto, bene illustrato specialmente dalla fig. 7, mi pare costante e significativo. Si può anzi affermare che là dove la roccia è caolinizzata queste evidentissime fratture della roccia sono sempre presenti, e la caolinizzazione sembra più completa nei punti in cui anche il reticolato di tali fratture, a maglie più o meno ampie a seconda dei casi, è più fitto e regolare.
In qualcuna delle cave da me visitate il fenomeno è tanto evidente come meglio non si potrebbe desiderare. In taluni casi, nella parte più superficiale delle masse caolinizzate si nota anche un altro fatto. E cioè che queste masse sono percorse da un reticolato, a maglie abbastanza ampie, di fessure capillari entro cui, con provenienza esterna, furono depositati esilissimi veli limonitici. In simili casi la roccia abbattuta, che naturalmente si rompe in prevalenza secondo tali fessurette, presenta un aspetto che, dal punto di vista pratico, si direbbe ben poco rassicurante : tutti i frammenti sono spalmati di limonite. Raschiandone invece la superficie si constata immediatamente che tali spalmature sono, come si disse, estremamente tenui e sotto di esse appare subito il bianco del caolino.
Si è accennato più sopra al fatto che la zona caolinizzata è estesissima e pressoché continua. Ed in realtà le cose stanno in questi termini, ma è da notarsi che anche entro i tratti con alterazione più diffusa si hanno zone e strisce in cui questa particolare trasformazione della roccia è meno accentuata o quasi affatto interrotta. E queste zone e strisce corrispondono ai punti in cui le fessure più volte ricordate sembrano perdersi.
Si è inoltre notato - e la stessa esperienza industriale lo conferma - che le plaghe a struttura brecciata e, meglio ancora, quelle tufacee, in cui la roccia è più porosa, presentano una caolinizzazione assai più completa e perfetta che le altre, ed il caolino vi si presenta esso pure poroso e quasi soffice.
Un altro fatto che l'estendersi degli scavi ha dimostrato in modo evidente è che la caolinizzazione aumenta dovunque con l'aumentare della profondità, ed in parecchi casi si osserva che essa penetra al disotto di zone in cui non esiste che la forma consueta di alterazione superficiale. Infatti, di mano in mano che le cave si approfondano, seguendo le plaghe più favorevoli, il caolino va facendosi più puro e più bianco e la pratica dimostra che i suoi caratteri industrialmente utili migliorano : fatto questo che fu constatato anche nella cava Scano, la cui fronte è attualmente alta non meno di quindici metri.
In questa ampia cava, che intaglia la roccia per una larghezza non inferiore ai quarantacinque metri, mi sembra pure di poter constatare che le zone caolinizzate vanno in profondità localizzandosi in modo più marcato lungo il decorso di determinate fratture, le quali, a giudicare dallo spessore del riempimento di caolino pulverulento bianchissimo, sembrano esser state in origine abbastanza largamente beanti.
Le figure annesse alla presente nota, che riproducono quasi esclusivamente il gruppo delle Cave Gugusi poste lungo la base del versante meridionale del Monte Craboni, dimostrano assai bene l' estensione e l' entità della caolinizzazione.
In questa plaga le prime tracce della alterazione caolinica si riscontrano sin dai piccoli domi che stanno al margine della pianura (Bruncu su Murdegu) dove, come sopra s'è detto, il caolino forma esili strisce disposte a reticolato entro la roccia.
Penetrando poi nella vallecola del Riu sa Perdaia, i vari assaggi distribuiti su entrambi i fianchi della valle stessa dimostrano che qui la caolinizzazione è largamente diffusa pressoché dovunque su un tratto esplorato della lunghezza non inferiore ad un chilometro.
Le numerose cave poi sono schierate tutte sul fianco destro della valle.
La cava della Casa, che è la più alta e attualmente la più addentrata nella valle, è forse quella in cui la caolinizzazione è più completa. In essa la roccia ha un aspetto tipicamente brecciato e quantunque la caolinizzazione sia perfetta, sulla fronte della cava la brecciatura è evidentissima perché il caolino vi presenta lievi modificazioni di tinta a seconda della varia grana della roccia originaria costituente i frammenti della breccia stessa.
In questa cava ho raccolto begli esemplari di pseudomorfosi complete di caolino sui grandi cristalli interclusi di orneblenda e di feldspato contenuti in una facies grossolanamente porfirica della roccia. Particolarmente belle le pseudomorfosi sull'orneblenda, che con relativa facilità si separano dalla loro nicchia.
Poco ad ovest ed un po' più in basso di questa cava ve ne sono altre due, più ampie, in cui l'aspetto della formazione non è molto diverso. Qui però la roccia originaria sembra piuttosto essere stata interamente tufacea.
Al piede di queste cave, verso valle e quasi al margine della zona caolinizzata. che ivi presenta una delle accennate interruzioni, s'incontrano individui sciolti e venuzze riempite di gesso, in quantità però piccolissima.
Alquanto più in basso, sempre verso occidente e lungo la valle, dopo un tratto relativamente largo in cui la caolinizzazione è incompleta e manca affatto, si apre il gruppo maggiore delle cave di questa serie, fra cui la già ricordata cava Scano.
In questa cava è posta allo scoperto un'ampia fronte di roccia che permette di riconoscere bene l'andamento ed i caratteri del fenomeno di cui stiamo parlando. Qui fra l'altro si constata che, mentre con un esame superficiale si potrebbe credere la caolinizzazione diffusa dovunque in non diverso grado, in realtà i dati analitici e la prova pratica distinguono tratti con caratteri notevolmente differenti, tanto che la cava stessa dà un certo quantitativo di scarto.
In ogni modo però questo gruppo di cave, che ha fornito un non trascurabile rendimento, e ne potrà dare molto in seguito, si presenta come veramente grandioso.
Altre cave, come la cava dello Sprone (vedi fig. 8), che sembrano interessare originali strati interamente tufacei, si trovano ancora più in basso, verso lo sbocco della piccola vallecola in aperta pianura.
In queste ultime, come del resto anche ne gruppo di cui fa parte la cava Scano, è abbastanza frequente la sopraccennata infiltrazione, che si direbbe di origine superficiale, di limonite entro le sottili fessure che s'incontrano nella formazione caolinica.
Del caolino proveniente da tutte queste cave si possiedono sinora solo analisi industriali fatte sul materiale greggio. Alcune di esse però, eseguite da F. Giolitti per conto della ditta Ansaldo, che del caolino di Furtei si servì largamente per la preparazione di refrattari destinati ai forni di fusione e di riscaldo per l'acciaio, non son prive d'interesse anche scientifico.
Secondo tali analisi, il caolino. delle varie cave elencate risulta praticamente privo di alcali, di calce e di magnesia; il ferro (determinato come ossido ferrico nella sostanza calcinata) non giunge mai oltre 1.85%, e di solito è presente solo in tracce ; la silice, sempre nella sostanza calcinata, va dal 57% al 68% circa ; l'allumina dal 30% al 43 %. La perdita al rosso sta tra il 5 e il 7,5%.
Ora, pur senza addentrarci nell'esame e nella discussione di questi dati analitici, sotto vari riguardi interessanti - cosa che si potrà invece fare quando si sarà in possesso di analisi più complete e con altri criteri condotte - si può fin d'ora riconoscere che, nella maggioranza dei casi almeno, l'alterazione a cui fu sottoposta la roccia originaria, presumibilmente ricca di alcali e non priva certo di sensibili quantità di calce e magnesia, fu veramente profonda.
Dal punto di vista industriale, per lo scopo cui fu sinora destinato il caolino di Furtei, ossia per la fabbricazione di refrattari, si può ritenere che esso sia un materiale degno di ogni considerazione, tanto più che fino adesso fu cavato senza una diligente cernita e da una maestranza ancora poco addestrata alla conoscenza del materiale stesso.
Alcune cave di questo gruppo dovranno forse anche in avvenire destinarsi solo alla produzione di refrattari industriali, ma le migliori, e specialmente la cava della Casa prima citata, potranno dare materiali atti alle applicazioni più fine, specie se si procede ad opportune preparazioni ed a mescolanze con argille caoliniche alquanto più grasse.
Le cave di Furtei furono avviate solo nel 1917 e negli anni in cui furono attive, antecedenti all'attuale crisi industriale hanno dato da sole 10.000 tonnellate di minerale. Ed ora ne sono pronte sui piazzali almeno altrettante.
Ma l'esame delle varie cave e dei numerosi assaggi condotti in vicinanza di esse induce a ritenere che, solamente nella plaga da esse interessata, siano disponibili molte centinaia di migliaia di tonnellate di minerale non diverso da quello fin qui cavato.
E queste cifre che ho voluto riportare come pratico termine di confronto, se danno un'idea dell'importanza industriale di questo giacimento, sono ben lungi dal darci un'idea completa della vastità del fenomeno sulla quale ho ormai tante volte insistito. Che dire? poi se pensiamo agli altri gruppi di cave esistenti nella regione, da me assai più fuggevolmente visirati ?
Di un altro di tali gruppi, quello di Cuccuru Cabriolus e del M. Coronas Arrubias in comune di Segariu, sono visibili le bianche macchie sul panorama della figura 1. Esso non è certo meno esteso di quello ora descritto e di quello di M. Porceddu sopra Serrenti, che ancor meglio degli altri si scorge anche passando in ferrovia sulla linea Cagliari-Oristano.
Tutti questi gruppi di cave hanno avuto, ed in parte hanno ancora, una notevole fioritura; e non possiamo che augurarci una nuova e duratura ripresa di attività in tutti i punti della vasta formazione, come del resto negli altri e certo non trascurabili giacimenti caolinici sardi, quali sarebbero ad esempio quelli pure interessantissimi dei dintorni di Laconi.
Ma la formazione ora sommariamente descritta mi sembra non priva d'interesse anche dal punto di vista prettamente scientifico.
E' noto quanto sia complesso il problema della alterazione argillosa e caolinica delle rocce eruttive. Si ritiene ora dai più che la formazione di caolinite cristallina, ossia del caolino propriamente detto, si abbia solo in seguito ad azioni singolarmente energiche, quali sarebbero le azioni idrotermali o pneumo - idatogene che accompagnano di consueto i parossismi eruttivi ; mentre le ordinarie azioni atmosferiche, nei nostri climi, darebbero luogo solo ad idrogeli argillosi, di conseguenza non mai a prodotti cristallini, e distinti in ogni modo dal primo per un grado assai diverso di dispersità. Ma il quesito non è completamente e definitivamente risolto.
Da tutto quanto s'è detto sul giacimento di Furtei-Serrenti risulta in primo luogo che quivi siamo in presenza di due modi nettamente distinti di alterazione della roccia trachitoide originaria: una superficiale e diffusa dovunque, ed una che si addentra nel suolo, e sembra anzi accentuarsi con la crescente profondità, limitata a plaghe ben distinte disposte in modo da formare una zona grossolanamente periferica rispetto a tutto il gruppo vulcanico.
Risulta in secondo luogo che le plaghe caolinizzate, sia nella loro distribuzione superficiale, sia nel loro andamento in profondità, almeno dove è stato possibile osservarlo, sembrano seguire linee e zone di frattura delle rocce, che, appunto per la loro localizzazione, è legittimo supporre distinte dalla generale fessurazione dovuta alle cause fisiche esogene.
Nella regione non esistono, per quanto so, sorgenti idrotermali od altre pur lontane manifestazioni di attività endogena che possano considerarsi come ultima traccia dal ciclo eruttivo quaternario da cui furono generati i vulcani di Furtei, quali invece esistono nella non lontana Sardara; ma pur tuttavia mi sembra che tutte le condizioni ora elencate, non solo non siano in contrasto con le opinioni correnti sull'origine del caolino, ma anzi ne tornino a conforto e ne costituiscano una nuova non trascurabile prova.
L'impressione infatti che si riceve dall'esame dalle accennate fratture è che esse siano state originariamente la via di sfogo di sorgenti e di emanazioni, le quali, agendo sulla roccia circostante, e tanto più completamente quanto più questa per la sua porosità o per la sua minuta fessurazione ne offriva loro il destro, l' hanno intaccata ed alterata. Il loro andamento in profondità e la stessa loro disposizione periferica rispetto alla regione vulcanica sono ben d'accordo con quanto ordinariamente si constata in simil genere di fenomeni post-vulcanici. Se attualmente non si osservano a Furtei acque termali ed emanazioni, è però più che legittimo supporre che ne siano esistite in passato, in epoca più vicina al termine dei parossismi eruttivi.
E se anche non si volesse ricorrere a questa ipotesi per spiegare i fatti qui brevemente accennati, rimane pur sempre vero che a Furtei non è in nessun modo possibile confondere i due modi di alterazione osservati nella roccia; e se il primo, diffuso su tutta la superficie del suolo, è senz'alcun dubbio dovuto alle cause atmosferiche, pure senza dubbio alcuno il secondo va attribuito a cause distinte e particolari, ben localizzate, né si vede come queste, senza urtare gravemente con la verosimiglianza, possano identificarsi con le altre.